lunedì 6 ottobre 2008

ASSOCIAZIONE ITALIANA FAMILIARI E VITTIME DELLA STRADA

OSSERVATORIO VITTIME LIDU
membro Fidh Federation Internationale Des Ligues Des Droits De L’homme


CONVEGNO NAZIONALE

22 febbraio 2007 – Camera dei Deputati
Palazzo Marini Roma Via del Pozzetto 158






RELAZIONE
“Una legge per le vittime del reato ”
“Responsabilità oggettiva e risarcibilità del danno”
di
MARIO PAVONE





















PARTE I
L’Unione Europea e le vittime della criminalità
§§§

1.Premessa
Il lungo percorso legislativo seguito dai Paesi europei per assicurare un risarcimento alle vitti me di reati necessita oggi di rapide realizzazioni,come sostenuto da più parti.[1]
Era stato un rappresentante della Scuola Positiva italiana, Raffaele Garofalo,a far rilevare che quella inerente alla “riparazione a coloro che soffrirono per un delitto” era, insieme a quella con cernente la riparazione dell’errore giudiziario, la “parte difettosa delle legislazioni moderne”
Ed aggiungeva – eravamo nel 1902 - che il “colmare questa lacuna sarà un’opera di vera civiltà”.
Da quell’epoca, ormai lontana, è possibile cogliere una certa linea di sviluppo, oltre che nelle discipline e nelle prassi dei vari Paesi europei,Italia compresa, anche a livello delle organiz zazioni europee.

2. La Convenzione Europea per le vittime dei reati
Occorre partire,nella disamina dell’argomento,dalla Convenzione europea relativa al risar cimento delle vittime dei reati di violenza, elaborata a cura del Consiglio d’Europa.
Tale Convenzione obbliga le Parti a prevedere nelle loro legislazioni o pratiche amministrative, un sistema di compensazione per risarcire, con fondi pubblici, le vittime di infrazioni violente, dolose che hanno causato gravi lesioni corporali o la morte.
La Convenzione, che individua le previsioni minime che devono essere contenute in tale sistema, indica i danni che devono necessariamente essere risarciti, quali il mancato guadagno subito da una persona immobilizzata in seguito alla lesione, le spese mediche, le spese di ospedalizzazione, le spese funebri e, in caso di persone a carico, la perdita di alimenti.
La Convenzione si basa sul principio di giustizia sociale, che esige che lo Stato indennizzi non solo i proprio nazionali ma anche le vittime di altre nazionalità, compresi i lavoratori emi granti, i turisti, gli studenti.
La Convenzione consente di fissare dei limiti maggiori e minori per il versamento di un inden nizzo. Essa statuisce, infine, che una Parte può rifiutare di versare un’indennità se la vittima appartiene ad un associazione criminale, a delle organizzazione che commettono atti violenti o è egli stesso un noto criminale.
Una importante chiave di lettura di quel testo è rappresentata dal “Rapporto esplicativo”, che lo accompagna e lo precede, e che, oltre ad offrire un commentario delle varie disposizioni normative, ne spiega le linee portanti, ed ancor prima la filosofia ispiratrice.
Nel corso degli ultimi decenni – si scrive nell’introduzione – è venuta sempre più maturando, sul piano della politica criminale, l’esigenza di farsi carico dell’assistenza alle vittime dei reati alla stessa stregua, e dunque in misura non minore, di quanto, da più antica data, praticato in ordine al trattamento da adottare nei confronti degli autori dei reati, per l’appunto determinatori delle vittimizzazioni.
In linea di principio – si aggiunge– il risarcimento del danno dovrebbe essere attuato a cura dell’autore del reato.
Tuttavia,sul piano generale,oggi il quadro complessivo dei risarcimenti risulta tutt’altro che rassicurante, ove si pensi alle numerose ipotesi di autori di reato rimasti ignoti, o scomparsi dalla circolazione, o, comunque, insolvibili.
Da qui l’esigenza, a partire dagli anni ’60 avvertita da diversi Stati membri del Consiglio d’Europa, di costituire dei fondi pubblici ai quali, occorrendo, di volta in volta attingere le risorse economiche per provvedere ai risarcimenti, o indennizzi, in mancanza, o in carenza, di iniziative utili intercorrenti a livello dei privati (si vuol dire: gli autori del reato, da una parte e, dall’altro, le loro vittime, ovvero, beninteso, gli eredi delle medesime).
Proseguendo su questa linea evolutiva, nel 1970 il Consiglio d’Europa collocava il risarcimento delle vittime dei reati nel suo programma di lavoro, e dopo un lungo itinerario veniva aperta alla firma, il 24 novembre 1983, la Convenzione europea di cui s’è detto.[2]
L’Italia – pur non insensibile alla tematica del risarcimento del danno da reato –non ha, a tutt’oggi, ratificato la convenzione di cui si sta parlando.
Lo hanno fatto, invece, tra gli altri Paesi, la Francia (nel 1990), la Svizzera (nel 1993) e la Germania (nel 1997), quando ormai la convenzione era già in vigore, sul piano internazionale, fin dal 1° febbraio 1988, per effetto della coeva entrata in vigore in Danimarca, Lussemburgo e Paesi Bassi.
Sempre nell’ambito del Consiglio d’Europa, e più propriamente nel settore giurisdizionale, va almeno segnalato il rilievo che il per le vittime del reato, è venuto assumendo nella giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo, nonostante una certa reticenza testuale palesata al riguardo da parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Una caratterizzazione più mirata e, al contempo, più estesa, ha successivamente improntato le iniziative di tutela delle vittime che sono state promosse nel più ristretto ambito dell’Unione Europea. Tale intento ha acquisito una particolare determinatezza nel Consiglio europeo di Tampere (ottobre 1999), nel contesto di un documento – dal titolo: “Verso un’unione di libertà, sicurezza e giustizia” – ispirato dal proposito di “promuovere l’attuazione piena e immediata del trattato di Amsterdam”.
Nel punto 32 di quel documento così veniva delineato uno specifico programma: “… dovrebbero essere elaborate norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità, in particolare sull’accesso delle vittime alla giustizia e sui loro diritti al risarcimento dei danni, comprese le spese legali”. Ed ancora – ma si comincerà col notare che non si parla più soltanto di vittime dei reati di violenza, ma, tout court, di vittime della criminalità –: “Dovrebbero inoltre essere creati programmi nazionali di finanziamento delle iniziative, sia statali che non governative, per l’assistenza alle vittime e la loro tutela”.
Nella stessa direzione va annoverata la Risoluzione del Parlamento europeo sulla Comunica zione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale "Vittime di reati nell'Unione europea - Riflessioni sul quadro normativo e sulle misure da prendere"[3]
3.La Decisione Quadro 2001/220/GAI
In attuazione di quel programma, il 15 marzo 2001 il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato, a Bruxelles, una “decisione quadro” (2001/220/GAI) “relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale”, pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 22 marzo. Una “decisione quadro”, dunque, come tale non avente “efficacia diretta”, e pur tuttavia – il tutto alla stregua dell’art. 34, § 2, lett. b) del Trattato sull’Unione Europea – vincolante per gli Stati membri “quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi”.
La gamma e l’incidenza degli obiettivi, e quindi dei risultati da ottenere, già emerge dalle indicazioni analitiche contenute nel preambolo della decisione-quadro. Occorre – si dice nel punto (4) – “che gli Stati membri ravvicinino le loro disposizioni legislative e regolamentari, per raggiungere l’obiettivo di offrire alle vittime della criminalità, indipendentemente dallo Stato in cui si trovano, un livello elevato di protezione”. Le esigenze della vittima, peraltro, vanno prese in considerazione e trattate (punto 5) “in maniera globale e coordinata; evitando soluzioni frammentarie o incoerenti che possano arrecare pregiudizi ulteriori”: in maniera globale, e pertanto (punto 6) anche al di là del procedimento penale in senso stretto, per estendersi a “talune misure di assistenza alle vittime, prima, durante e dopo il procedimento penale”. In tale ordine di idee venivano raccomandate:
- la necessità (punto 8) di “ravvicinare le norme e le prassi relative alla posizione e ai principali diritti della vittima, con particolare attenzione al diritto a un trattamento della vittima che ne salvaguardi la dignità”; al diritto di informare e di essere informata, di comprendere ed essere compresa, di essere protetta nelle varie fasi del processo e di “far valere lo svantaggio” di risiedere in uno Stato membro diverso da quello della commissione del reato; - l’importanza da riconoscere all’intervento (punto 10) “di servizi specializzati e di organiz zazioni di assistenza alle vittime prima, durante e dopo il processo penale”, e la connessa necessità (punto 11) di provvedere ad una “formazione adeguata e sufficiente” delle persone che hanno contatti con le vittime;
- l’opportunità (punto 12) di fare ricorso “ai meccanismi di coordinamento dei punti di contatto in rete negli Stati membri, sia a livello di sistema giudiziario”, sia a livello di collegamento tra organizzazioni di assistenza alle vittime. Segue, nel testo della “decisione quadro”, una disciplina dettagliata in 19 articoli, attinenti alle varie partizioni del quadro. Una disciplina di cui l’articolo finale prevedeva l’entrata in vigore il giorno stesso della pubblicazione nella “Gazzetta ufficiale delle Comunità”, vale a dire il 22 marzo 2001, mentre la predisposizione, connaturata al carattere delle “decisioni quadro”, delle necessarie disposizioni attuative,di ordine legislativo
regolamentare e amministrativo, veniva differita, in linea generale (art.17) al 22 marzo 2002.
E ciò, appunto, salvo alcune deroghe e differimenti ulteriori per le relative entrate in vigore: - al 22 marzo 2004, quanto alle garanzie enunciate dall’art, 5 “in materia di comunicazione” (nell’intento di superare difficoltà di comprensione e partecipazione della vittima in qualità di testimone o parte in causa) e quanto alla “assistenza specifica alla vittima”, delineata nell’art. 6 (vale a dire quanto all’assistenza, in genere, e più in particolare al patrocinio gratuito); - al 22 marzo 2006, quanto alla promozione, raccomandata nell’art. 10, dell’istituto moderno della “mediazione”, vale a dire dell’accordo di componimento tra la vittima e l’autore del reato. Attese la novità, l’importanza e l’ampiezza degli impegni posti a carico dei vari Stati, l’art. 18 prevede, da un lato, la trasmissione, in sede europea, del “testo delle disposizioni inerenti al recepimento nella legislazione nazionale degli obblighi imposti” dalla “decisione quadro”, e prevede poi, a cura del Consiglio, una scadenzata valutazione e un monitoraggio circa le misure in concreto adottate dagli Stati membri.
4. L’invito rivolto dalla Commissione agli Stati Membri
In questo quadro è stato ritenuto positivo l’invito rivolto dalla Commissione agli Stati membri a ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa del 24 novembre 1983, concernente il risarci mento delle vittime di reati violenti: tale ratifica originerebbe infatti una collaborazione proficua tra gli Stati membri dell'Unione.
Al contrario, dal documento della Commissione risulta che non vi è alcuna omogeneità nelle modalità di soluzione, da parte dei paesi membri, della questione relativa alle vittime di reati; non si fa inoltre accenno a come la gestione dell’assistenza alle stesse venga influenzata dalle compagnie di assicurazione e dalle loro regole. Tuttavia, si guarda positivamente al fatto che le misure da stabilire nella presente relazione siano piuttosto realistiche, soprattutto per quanto concerne la posizione delle vittime di reati in sede di procedimento giudiziario e la consapevolezza della necessità di formare e informare, sia ai fini di una migliore preparazione dei tutori della legge e dei giornalisti, sia ai fini della prevenzione della criminalità.
Il Consiglio e la Commissione, nel dicembre 1998, hanno ideato un piano d’azione sulle modalità ottimali di attuazione delle disposizioni del trattato di Amsterdam riguardanti la realizzazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia.
La Commissione teme che si possa prestare maggiore attenzione al risarcimento delle vittime di reati piuttosto che sui loro diritti.
La Commissione, alla luce delle discussioni del Consiglio di Tampere (15-16 ottobre 1999), pone l’accento sull’importanza della prevenzione dei reati e delle fasi che precedono il risarcimento.
L’esecutivo UE intende avviare un dibattito caratterizzato dalle seguenti tematiche: riduzione del numero delle vittime, assistenza alle vittime, possibilità per le vittime di agire in un procedimento penale, risarcimento delle vittime, definizione di un quadro per l’informazione, le lingue e la formazione.
a-Per quanto riguarda la riduzione del numero delle vittime, gli Stati membri sono invitati a scambiarsi prassi in materia di prevenzione della criminalità; tuttavia, poiché la criminalità organizzata transfrontaliera è in fase di crescita, l’iniziativa dovrebbe condurre ad un programma di prevenzione comune a livello comunitario e internazionale. La Commissione del Parlamento Europeo per le Libertà e i Diritti dei Cittadini, la Giustizia e gli Affari Interni sottolinea l’importanza di operare, a tal riguardo, una distinzione tra le diverse forme di criminalità.
b-Sull’assistenza alle vittime la Commissione ritiene che sia estremamente importante fissare standard e norme europee valide sia per i residenti sia per gli stranieri, a prescindere dalla loro condizione giuridica. L’assistenza materiale, psicologica e medica alle vittime deve poter essere immediata e gratuita. Nello stesso tempo, alle vittime devono essere fornite informazioni sulla disponibilità delle diverse forme di assistenza. La Commissione auspica la creazione di una linea telefonica di emergenza, o di una rete di linee di emergenza, che unisca i diversi servizi di assistenza e che possa essere disponibile in tutte le lingue europee. La Commissione per le Libertà e i Diritti dei Cittadini, a sua volta, desidera sottolineare che tali misure non possono essere facoltative, ma devono avere carattere vincolante.
c-In merito alla possibilità per le vittime di agire in un procedimento penale, la Commissione reputa che i principali punti da rispettare nel corso di un procedimento penale e nella sua istruzione siano il rispetto della privacy e della sicurezza delle vittime, la possibilità di ricorrere all’assistenza di terzi, la possibilità di deporre in anticipo o dal proprio paese.
La Commissione per le Libertà e i Diritti dei Cittadini desidera sottolineare che, anche una volta rientrate nel paese di origine, le vittime devono continuare ad essere automaticamente informate sul seguito del procedimento e delle sue conseguenze. Per quanto concerne le vittime in possesso di un permesso di soggiorno temporaneo, quest’ultimo va prorogato per l’intera durata del procedimento. Occorre, inoltre, prestare particolare attenzione a determinati gruppi di vittime: i costi derivanti da un procedimento penale non possono costituire un ostacolo alla denuncia di un reato. Le persone con un reddito non elevato devono non solo godere degli stessi diritti, ma avere anche le stesse possibilità di farli valere: ad esempio, sono le donne ad essere spesso le vittime in caso di divorzio. La Commissione per le Libertà e i Diritti dei Cittadini insiste dunque sull’importanza di una base giuridica ai fini dell’armonizzazione delle misure.
d-Circa il risarcimento delle vittime, la Commissione auspica la ratifica da parte di tutti gli Stati membri della citata Convenzione Europea del 1983 relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti, insistendo sul fatto che le vittime devono essere risarcite con la massima tempestività, eventualmente anche con versamenti anticipati. In tale ambito è importante che sussista una collaborazione tra gli Stati membri, per evitare che le vittime non siano scoraggiate dalle procedure connesse con la richiesta del risarcimento. Tali procedure devono essere flessibili; occorre inoltre concedere alle vittime la possibilità di presentare tale domanda dal proprio paese.
e-Infine, sulla definizione di un quadro per l’informazione, le lingue e la formazione la Commis sione Europea intende effettuare un sondaggio tra i viaggiatori circa le loro esperienze in merito alla criminalità.
A tale proposito, la Commissione per le Libertà e i Diritti dei Cittadini deplora che tale inchiesta sia rivolta esclusivamente ai viaggiatori, che rappresentano solo una delle tipologie di "vittima". Si auspica pertanto che siano stanziati i finanziamenti necessari per la realizzazione di un quadro generale per l’istruzione e la formazione dei settori interessati.
5.La decisione n.5/06 del 5 Dicembre 2006 dell’OCSE
Per completezza, va riportata anche la recente decisione dell’OCSE emanata il 5/12/2006 in tema di criminalità organizzata in cui Il Consiglio dei Ministri,
-ribadendo la sua profonda preoccupazione per l’incidenza negativa della criminalità organizzata sulla pace, sulla stabilità e sulla sicurezza, esprimendo preoccupazione per il fatto che la criminalità organizzata è sempre più efficiente nello sfruttare le nostre economie globalizzate e le nostre società aperte e rappresenta una crescente sfida pluridimensionale per tutti gli Stati partecipanti nell’intera area dell’OSCE,
(omissis)
1. sollecita gli Stati partecipanti a continuare a far fronte alla criminalità organizzata quale seria minaccia e, ove possibile, a rafforzare l’attuazione dei rispettivi obblighi internazionali e impegni OSCE in tutti i settori dei loro sistemi di giustizia penale;
2. raccomanda di prendere in esame l’adozione, a seconda del caso, di piani nazionali che affrontino questioni concernenti la sicurezza nonché di dare applicazione ad un approccio integrato, nella consapevolezza che ciascun elemento del sistema di giustizia penale esercita un’influenza sugli altri elementi;
3. invita gli Stati partecipanti a prevedere la possibilità di intraprendere un’autovalutazione dei loro sistemi di giustizia penale utilizzando, a seconda del caso, gli strumenti messi a disposizione da organizzazioni internazionali come i pacchetti di valutazione UNODC/OSCE e, se necessario, di avvalersi in modo ottimale di altri strumenti disponibili, ivi inclusi quelli del Consiglio d’Europa (CEPEJ) e di altre organizzazioni, università o associazioni forensi;
4. sollecita gli Stati partecipanti a prestare la dovuta attenzione all’integrità e professionalità degli organi preposti all’applicazione della legge e delle autorità responsabili dell’azione penale, all’efficiente amministrazione della giustizia e all’appropriata gestione del sistema giurisdizionale, all’indipendenza della magistratura e all’appropriato funzionamento del sistema penitenziario, nonché a esaminare alternative alla detenzione;
5. raccomanda, nel quadro della programmazione politica volta a prevenire e combattere la criminalità organizzata, di migliorare la raccolta e l’analisi dei dati, elaborare e impiegare a livello nazionale valutazioni dei rischi e delle minacce nonché promuovere lo scambio di informazioni e di migliori prassi in misura superiore a quanto finora realizzato;
6. raccomanda di intensificare gli sforzi nazionali di cooperazione, coordinamento e scambio d’informazioni a livello internazionale quali passi importanti per contrastare la criminalità organizzata transnazionale;
7.sollecita gli Stati partecipanti a rafforzare la cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale considerando la possibilità, tra l’altro, di aderire alla Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale (Convenzione di Palermo), ove appropriato ai relativi protocolli supplementari, nonché alla Convenzione ONU contro la corruzione, e dare attuazione agli impegni derivanti da tali strumenti e da altri strumenti di cooperazione giuridica multilaterale e bilaterale cui hanno aderito, utilizzando altresì in modo appropriato i pertinenti articoli sulla reciproca assistenza giudiziaria e sull’estradizione;
8. sollecita gli Stati partecipanti a considerare la possibilità di aderire alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate (Strasburgo, 21 novembre 1983) e al suo Protocollo aggiuntivo del 1997, a seconda del caso, e a considerare la possibilità di stipulare accordi bilaterali a integrazione di tale Convenzione, agevolando il trasferimento delle persone condannate;
9. appoggia la cooperazione internazionale delle forze di polizia e prende nota degli esiti della riunione dei capi di polizia dell’OSCE tenutasi a Bruxelles il 24 novembre 2006, ivi inclusa la proposta di riunioni regolari ove tali riunioni siano organizzate in coordinamento con altre riunioni di capi di polizia e tengano conto di queste ultime;
10. raccomanda di intraprendere iniziative volte a promuovere i contatti con la popolazione, anche attraverso la cooperazione tra le autorità di polizia e le organizzazioni della società civile, in modo da consentire ai cittadini di acquisire una maggiore consapevolezza dei loro diritti civili, sviluppare una maggiore fiducia nel sistema di giustizia penale quale garante di tali diritti, nonché sentirsi a proprio agio quando si rivolgono alle autorità competenti;
11. incarica il Segretario generale e le pertinenti strutture esecutive dell’OSCE, nell’ambito dei rispettivi mandati,
(a)di rivolgere particolare attenzione nelle loro politiche e attività al ruolo fondamentale svolto dai sistemi di giustizia penale nel rafforzamento delle istituzioni e nella promozione dello stato di diritto, nonché di adoperarsi a favore di una cooperazione e di un coordinamento più stretti al fine di tenere maggiormente conto dell’interazione tra le componenti di tali sistemi;
(b) incarica il Segretario generale e le pertinenti strutture esecutive dell’OSCE, nell’ambito dei rispettivi mandati, di rafforzare e consolidare le attuali conoscenze ed esperienze in materia di giustizia penale e di criminalità organizzata;
(c) incarica il Segretario generale di sostenere e promuovere la cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale tra gli Stati partecipanti, tenendo anche conto del quadro offerto dalla Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale e fornendo sostegno alla sua Conferenza delle Parti, nonché di continuare a cooperare con l’UNODC nell’ambito di questioni che riguardano la lotta alla criminalità organizzata e le droghe illecite;
(omissis)
6.La legislazione italiana in materia
Spostiamoci ora sul piano del nostro ordinamento, posto che anche l’Italia, in quanto Stato-membro dell’Unione europea, è impegnata a dare l’efficacia alla richiamata “decisione quadro”. A tale riguardo, ma anche in prospettiva di sintesi,v’è da dire che il nostro Paese, che non è mai stato insensibile alle esigenze di tutela delle vittime del reato, negli ultimi decenni è venuto intensificando le misure concrete attuative di una tale tutela.
Cominciamo col ricordare i vari fondi di solidarietà che, nel corso degli anni, sono stati istituiti con finalità riparatorie: a favore delle vittime della circolazione stradale (l. 24 dicembre 1969, n. 990); di “categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche” (l. 13 agosto 1980, n. 466); delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (l. 20 ottobre 1990, n. 302; l. 23 novembre 1998, n.407; d.P.R. 28 luglio 1999, n. 510; l. 22 dicembre 1999, n. 512; d.P.R. 28 maggio 2001, n. 284); delle vittime dei reati di estorsione o di usura (l. 18 febbraio 1992, n. 172; l. 18 novembre 1993, n. 468; l. 7 marzo 1996, n. 108; d.P.R. 29 gennaio 1997, n. 51; l. 23 febbraio 1999, n. 44).
I recenti e ripetuti episodi di uccisione di nostri connazionali impegnati anche in missioni di pace all’Estero, hanno indotto il Parlamento ad approvare alcune norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice in favore di tutte le vittime italiane degli atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice, compiuti sul territorio nazionale o extranazionale, nonchè dei loro familiari superstiti e da ultimo la Legge 206/2004
Con la circolare n. 113 del 19 ottobre 2005 l'Inps ha,inoltre,fornito le istruzioni per l’applicazione della nuova normativa che si applica alle vittime di eventi terroristici verificatisi sul territorio nazionale dal 1° gennaio 1961 e dal 1° gennaio 2003 per eventi accaduti al di fuori del territorio nazionale.
Sono altresì destinatari della disciplina in esame coloro che risultino già pensionati alla data di entrata in vigore della legge in argomento, per i quali occorrerà procedere ad una ricosti tuzione della pensione secondo le nuove disposizioni.
I benefici previsti dalla Legge 206/2004 sono,quindi,riconosciuti a tutti coloro che abbiano subìto un’invalidità permanente per effetto dei suddetti eventi terroristici.
Gli stessi benefici sono attribuiti sulle pensioni indirette o di reversibilità liquidate a favore dei superstiti dei soggetti innanzi menzionati che abbiano diritto a tali trattamenti
Da ultimo va segnalato che con il D.P.R. 07.07.2006 n° 243 sono state emanate le nuove norme in tema di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati con specifico riferimento "ad eventi verifica tisi sul territorio nazionale dal 1° gennaio 1961 ed all'estero dal 1° gennaio 2003".
Il provvedimento si pone l'obiettivo di estendere progressivamente i benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo anche ai caduti o feriti nell’adempimento del dovere, secondo quanto previsto dalla Legge 23 Dicembre 2005 n.266(Legge Finanziaria 2006).
In particolare, vengono individuati i termini e le modalità di attivazione delle relative proce dure, l'ordine di corresponsione delle provvidenze, il metodo di valutazione della percentuale dell'invalidità permanente in base alla citata Legge Finanziaria
Nondimeno,l’emanazione della nuova legge apre le porte ad una attenta disamina della impostazione dottrinale e giurisprudenziale in materia in tema di risarcimento dei danni materiali e morali delle vittime della criminalità in generale divenute, negli ultimi tempi, sem pre più numerose.
7. L’occasione mancata.Quella che è mancata, tuttavia,è stata quell’opera di costituzionalizzazione del sistema della responsabilità civile già più volte auspicata dalla Consulta[4]
Eppure la S.C. già aveva fornito, in precedenza, questo contributo in tema di:
• danno sessuale;[5]• danno morale subiettivo;[6]• danno patrimoniale ai congiunti della vittima deceduta.[7]Ed è singolare notare come le ultime tre sentenze citate sono opera dello stesso relatore, S.E. G.B. Petti, che, a quanto pare, è il relatore della S.C. che, in questi ultimi anni, ha tentato di inerpicarsi, con le motivazioni delle sue sentenze, sul difficile e non facile cammino dell’apertu ra dell’art. 2059 c.c. ad una lettura costituzionale.Tornando all’occasione mancata, la S.C., nella sentenza in esame[8], ha riconosciuto sì la legittimazione attiva, iure proprio, dei genitori del minore macroleso ad ottenere il risarcimento del danno morale subiettivo, ma avrebbe potuto rapportare la posizione soggettiva violata ed offesa dall’illecito altrui, ai seguenti referenti normativi:• art. 2 Cost.: "La Repubblica riconosce e garantisce i di­ritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle for­ma­zioni sociali (come la famiglia) ove si svolge la sua personalità";• art. 3, 2° comma, Cost.:"E' compito della Repubblica ri­muo­vere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, li­mi­tando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...";• art. 13, 1° comma, Cost.: "La libertà familiare è inviolabile"; • art. 29, 1° comma, Cost.: "La Repubblica riconosce i di­ritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio";• art. 30, 1° comma, Cost.: "E' dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio"; • art. 31, 1°e 2° comma, Cost.:"La Repubblica agevola con mi­sure economiche e altre provvidenze la formazione della fa­mi­glia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare ri­guardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'in­fan­zia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo"; • art. 8, 1° comma, Convenzione europea per la salvaguardia delle libertà fondamentali: "ogni persona ha il diritto al ri­spetto della sua vita privata e familiare..." ed è noto che la Convenzione costituisce diritto interno, fonte diretta, di rango superiore, poiché attiene a un diritto inviolabile;• art. 12 Convenzione europea per la salvaguardia delle li­bertà fondamentali: "uomini e donne, in età matrimoniale, hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia";• Parte I°, paragrafo 16, Carta Sociale Europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3/5/1996;“La famiglia, in quanto cellula fondamentale della società, ha diritto ad un’adeguata tutela sociale, giuridica ed economica per garantire il suo pieno sviluppo”.E’ noto che la Convenzione Europea per la salvaguardi dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,è entrata in vigore il 26/10/1955.Forse non è ancora noto a tutti che la Convenzione Europea, che realizza la più analiti ca tutela dei diritti enunciati nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, as surge, oggi, al rango di norma costituzionale europea.Invero, con il Trattato sull’Unione Europea,l’Unione Europea si è impegnata a rispettare i diritti fondamentali dell’uomo quali quelli garantiti Convenzione Europea e dalle tradizioni costituzio nali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario (art. F, para grafo 2).Purtroppo, lo stesso Trattato (art. L), impedisce alla Corte di Giustizia delle comunità europee di pronunciarsi sul rispetto dell’art. F, paragrafo 2, e quindi sul rispetto degli stessi diritti fon damentali da parte degli Stati membri dell’Unione.Successivamente, però, il Trattato sull’Unione Europea di Amsterdam, ha modificato, per quel lo, che qui interessa, l’art. 46, lett. D (ex art. L) di Maastricht, estendendo le competenze della Corte di Giustizia anche all’art. 6, paragrafo 2 (ex art. F, paragrafo 2), e quindi sul rispetto de gli stessi diritti fondamentali da parte degli Stati membri dell’Unione.Quindi, con tale trattato, l’Italia e tutti gli Stati membri hanno perso, in tema di diritti umani, tutta la propria sovranità in favore dell’Unione Europea e si sono obbligati al rispetto dei diritti garantiti dalla Convenzione Europea nell’ambito dei propri ordina mento nazionale.La Convenzione Europea, quindi, assurge oggi a rango di norma costituzionale europea, e, quindi, a norma di rango superiore, in virtù dei seguenti articoli della Costituzione:• art. 2, in base al quale “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”;• art. 10, in base al quale “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”;• art. 11, in base al quale “l’Italia….. consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.Quindi, in definitiva, con un'interpretazione estensiva, liberale e costituzionale dell'art. 2059 c.c., come norma generale, anche se tipicizzante, del danno non patrimoniale, la S.C. avrebbe potuto autorevolmente sostenere che i “casi determinati dalla legge”, previsti dalla predetta norma, ben potevano considerarsi non solo quelli previsti dall’ordinamento penale (art. 185 c.p.) ma anche quelli previsti dalla Costituzione (i già richiamati artt. 2, 3, 13, 29 e 30 Cost.) nonché quelli previsti dalle richiamate norme internazionali di rango superiore (i già richiamati artt. 8 e 12 Convenzione europea per la salvaguardia delle li­bertà fondamentali e parte I°, paragrafo 16, Carta Sociale Europea).Del resto la Corte Europea[9], in vari casi, ha liquidato il danno morale ai ricorrenti, anche in ipotesi di lamentata violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione, relativo alla ragio nevolezza della durata di un procedimento, e, quindi, al di fuori di accertate ipotesi di reato.

8. Il PdL di riforma del danno a persona.
A conferma della bontà delle tesi e teorie fin qui esposte e sostenute va precisato che forse, di quest’evoluzione, in senso liberale, del diritto vivente, si sono accorti gli assicuratori italiani.Infatti essi, sotto l’egidia prestigiosa dell’ISVAP, hanno costituito un “Gruppo di lavoro sulla disciplina del danno biologico”, formato da noti giuristi italiani, che hanno presentato, nel gennaio 1999, un progetto di legge di riforma del danno a persona che, quantomeno nella materia qui trattata, dovrebbe mettere definitivamente chiarezza e certezza in un difficile e complesso settore.
Invero questo è il testo dell’art. 2 di detto progetto di riforma che quì interessa:
“Articolo 2.L’art. 2059 del codice civile è sostituito dai seguenti articol:
Art. 2059 -Danni morali. Il danno morale è risarcito quando il fatto illecito ha cagionato alla persona un’offesa grave...”.
Art. 2059 bis - Danni morali dei prossimi congiunti. ...Qualora il fatto dannoso cagioni menomazioni dell’integrità psicofisica del danneggiato di particolare gravità è risarcito il danno morale subito dai prossimi congiunti ove conviventi”
Il pregio della prima disposizione è, quindi, quella di allineare il diritto italiano alle normative europee in materia e svincolare definitivamente il risarcimento dei danni morali subiettivi da accertate ipotesi di reato.
Quindi, in definitiva, risarcibilità del danno morale subiettivo sempre, in caso di lesioni personali, anche quando la fattispecie non concretizza alcuna ipotesi di reato. Il pregio della seconda disposizione, poi, è quella di prevedere normativamente la risarcibilità del danno morale subiettivo subito dai congiunti della vittima, però solo se conviventi ed in caso di menomazioni dell’integrità psicofisica della vittima di particolare gravità.In analogia a quanto previsto dalla prima parte di tale norma deve ritenersi, anche in questo caso, che il danno morale subiettivo subito dai congiunti della vittima, sia risarcibile anche quando la fattispecie non concretizza alcuna ipotesi di reato.
Per la verità, v’è da dire che la S.C., con le richiamate sentenze,ha abbattuto il “muro di sbarramento”, costituito dall’interpretazione restrittiva dell’art. 2059 c.c. sotto il profilo della legittimazione ad agire, ma non si è preoccupata di apprestare un’adeguata “rete di contenimento”.[10]Infatti, come ho avuto modo di spiegare in precedenza, la S.C., ha osservato che il problema costituito dall’eccessivo ampliamento delle richieste di risarcimento del danno costituisce un “posterius” rispetto ai problemi esaminati che andrà risolto, come per il danno patrimoniale e biologico riflesso, non solo sulla base della prova offerta del danno, ma anche alla stregua di un corretto accertamento del nesso di causalità, da intendersi come causalità adeguata o regolarità causale.
9. Conclusioni.
Il complessivo e motivato “revirement” della S.C., in tema di danni morali subiettivi c.detti riflessi, subiti, cioè, dai congiunti della vit­tima iniziale, che abbia subito lesioni personali, appare sostanzialmente da condividere in pieno e senza alcun indugio e segna un’impor tantissima svolta nel settore.
Esso rappresenta, innanzi tutto, la vittoria della parte debole, della povera vittima, nei confronti della parte forte, quella che detiene, quasi incontrastato, il potere, quello economico.La parte debole, così, trova, nonostante il suo “status”, nel ns. ordinamento una tutela maggiore, rispetto a prima, in relazione ai diritti umani violati.
Esso rappresenta, poi, la vittoria di tutti quegli avvocati che per primi hanno sostenuto, con forza, convinzione e testardaggine, tali tesi nelle aule giudiziarie e senza il cui apporto non si sarebbe potuti pervenire a tale attuale orientamento.
Esso rappresenta, ancora, la vittoria dei giudici di merito che per primi hanno affermato, con coraggio, tali tesi nelle loro decisioni, e ciò in stridente contrasto con la dottrina dominante e con la giurisprudenza del giudice di legittimità.
E’ una evidente dimostrazione di forza, di autonomia e di indipendenza di giudizio dei giudici di merito nei confronti del giudice di legittimità che così è stato da essi invitato, com’era già capitato in altre occasioni ed in altre materie, ad abbandonare la sua giurisprudenza non più in linea con la realtà dei tempi e con la mutata sensibilità sociale e giuridica.
Esso rappresenta, infine, la vittoria della terza sezione civile della S.C., sezione che ha emesso la sentenza innovativa e deciso, così, l’importantissimo “revirement”, che conferma il ruolo di avanguardia della stessa sezione, e del suo più autorevole e noto Presidente, S.E. Bile, nel complesso campo del risarcimento del danno a persona.
E’ pur vero che qualche mancanza o occasione mancata va pure rilevata nella sentenza della S.C., ma è anche vero che la stessa sezione, con sentenza emessa soltanto due mesi prima, aveva rigettato l’analoga istanza dei congiunti della vittima inizia le[11].Ciò significa che la creatura doveva nascere in fretta e senza ulteriore indugio.Il tempo dirà chi ha avuto ragione.













































PARTE II
ISTITUZIONE DI UN FONDO DI GARANZIA PER LE VITTIME DELLA CRIMINALITA’
§§§

1.Premessa
La disamina della risarcibilità del danno per le vittime della criminalità,stante il diritto più volte riconosciuto in ambito nazionale che europeo, pone,tuttavia,con forza una questione fondamen tale:
dove attingere i fondi per il risarcimento.
Su un piano più generale ed ancor prima di analizzare il quadro delle possibili soluzioni meritano di venir segnalati diversi altri eventi di grande portata normativa.
In primo luogo, va sottolineato il positivo orientamento tenuto dal Parlamento che,sia in occasione della prima legge-delega del 1974 che, poi, della legge-delega del 1987 (dalla quale ha preso vita il nuovo Codice di procedura penale), ha voluto ribadire in ordine al criterio di consentire, attraverso l’istituto della parte civile, l’inserimento, nel processo penale, dell’azione civile per i danni da reato.
E si tratta di un’orientamento ancor più apprezzabile il fatto che il Legislatore, nelle due occa sioni ricordate, era venuto orientando le sue scelte di fondo verso un sistema processuale di ti po accusatorio:
un sistema, cioè, che, nelle sue ben accreditate configurazioni straniere di common law è viceversa portato ad escludere, dal processo penale, il ruolo e l’intervento della vittima del reato.
In questa direzione,devono inoltre essere menzionate, in ordine cronologico – e per limitarci al procedimento di cognizione – le propensioni verso le condotte riparatorie e di conciliazione con la vittima, rilevanti per gli eventuali esiti di estinzione del reato, manifestate dal legislatore nella disciplina del processo penale minorile (artt. 28 e 29 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448) e,successiva- mente, nella disciplina del giudice di pace in materia penale (art. 35 d. lgs 28 agosto 2000, n. 274).
Va poi anche fatta menzione della prevista e rinnovata possibilità, per la persona offesa dal reato e per il danneggiato che intenda costituirsi parte civile, anche se straniero o apolide residente nello Stato, di poter usufruire, a determinate condizioni reddituali, del patrocinio a spese dello Stato (d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, parte III).
Si può anche aggiungere che, abolita, negli anni 1977-1978, la Cassa per il soccorso e l’assi stenza delle vittime del delitto, poco prima costituita nell’ambito di una nuova legge peniten- ziaria (art. 73 l. 26 luglio 1975, n. 354), l’istituzione, a più ampia portata, di un “fondo di soli darietà verso le vittime del reato” veniva prospettata nello schema di un disegno di legge – delega al Governo reso pubblico nel 1992: fondo di solidarietà da alimentarsi – si noti – “an che con l’intero provento delle pene pecuniarie e delle somme versate a titolo di responsabilità civile per la multa o per l’ammenda” (art. 51).
In questa struttura di carattere normativo (certamente suscettibile di ulteriori sviluppi,possibil- mente aperti anche verso le più interessanti esperienze straniere), si viene ora ad inserire la necessità di dare efficacia alla “decisione quadro” di cui s’è detto.
Si tratta di integrare i settori e i momenti di tutela della vittima del reato, in guisa da conferire alla medesima un nuovo assetto e, per così dire, un più ampio e consolidato “statuto”.
Per tali incombenze, va ricordato pure che,tempo addietro era stata preposta, in sede ministe riale, un’apposita commissione (la commissione Santacroce).
Appare necessario,tuttavia,procedere lungo tre linee direttrici.
a-Un primo obiettivo,animato dal meritorio intento di “riequilibrare” la posizione della vittima ris petto all’imputato (perfino indipendentemente dalla costituzione in giudizio come parte civile), è quello dell’approntare alcuni nuovi congegni ed adempimenti di carattere procedurale (in tema di iniziative d’ordine probatorio, di opposizione alla richiesta di archiviazione, di notifica delle conclusioni delle indagini preliminari).
b-Una seconda linea direttiva è quella volta, secondo gli impegni assunti a Bruxelles, a prevedere e meglio garantire, anche attraverso strumentazioni di carattere organizzativo, uno specifico “diritto di informazione” della vittima, circa i modi e i tempi della tutela consentita dallo ordinamento nazionale.
c- l’istituzione più generalizzata di un fondo di assistenza, al quale convenientemente attingere per poter elargire contributi d’ordine ripara torio in alcuni casi predeterminati.
Occorre,sul punto,saggiare le proposte attualmente in cantiere, e di accompagnarle, fatti salvi gli appunti critici del caso, con il doveroso auspicio di adeguate e rapide realizzazioni.
Va sempre sottolineato che compito precipuo dei Governi è quello di apprestare non solo le difese da tali attacchi ma soprattutto,stante la rilevanza che ha assunto il fenomeno,stabilire le regole per il ristoro dei danni arrecati alle vittime ed ai loro familiari.
In proposito,la Circolare emanata dalla Presidenza del Consiglio in data 14 Novembre 2003 recita testualmente “Il terrorismo e la criminalità organizzata, anche in Paesi democratici e con avanzate caratteristiche sociali ed economiche come il nostro, hanno lanciato negli ultimi decenni una sfida costante, più o meno grave, all'ordinato svolgersi della vita civile, seminando una dolorosa scia di vittime non soltanto tra coloro che rappresentano lo Stato, ma anche tra la gente comune”.
Le istituzioni, sulle quali si fonda la struttura democratica del Paese, hanno tenuto salda la loro autorevolezza e la generale condivisione dei più alti valori alla base della coscienza civile ha costituito un baluardo invalicabile che ha impedito a questi fenomeni di assumere dimensioni più rilevanti e, tanto meno, di prevalere. Il prezzo pagato, però, in termini di vite umane, di drammi esistenziali e di sofferenze familiari e' stato, al di là delle dimensioni numeriche, rile vantissimo.
Lo Stato, anche rendendosi interprete dei sentimenti di gratitudine e di solidarietà dei cittadini, e' intervenuto, a più riprese, con norme a favore delle vittime per fatti di terrorismo e di criminalità organizzata, con il preciso intento di offrire un segnale di sostegno, in termini morali ed economici, a fronte di quei delitti diretti contro la sua stessa ragion d'essere.
In tale ottica vanno annoverati tutti i provvedimenti emanati a vari livelli diretti a garantire una qualche tutela giuridica agli interessi ingiustamente lesi di quanti sono caduti vittime del dovere a causa di atti che non trovano alcuna giustificazione sul piano del diritto internazio- nale,tanto meno in termini di rappresaglia.
2.I Fondi esistenti
A questo punto un’attenta disamina meritano alcuni fondi,appositamente costituiti, che eroga no alcune provvidenze per il risarcimento dei danni subiti dalle vittime di altri eventi.
Merita innanzitutto una apposita disamina il
A- Il Fondo di garanzia vittime della strada
Il Fondo è stato istituito in forza delle norme di cui agli artt. 19 e seguenti della L. 990/69.
ed è un istituto finalizzato a garantire i principi di sicurezza e solidarietà sociale su cui si basa la legge n. 990 del 1969, nonché il principio dell'obbliga torietà dell'assicurazione sul la responsabilità civile.
In base all'art. 19 della L. 990/69, il Fondo provvede al risarcimento dei danni provocati dalla circolazione di veicoli o natanti non identificati, o che siano sprovvisti di copertura assicurativa, o risultino assicurati presso imprese cadute in dissesto finanziario, che si trovino cioè in stato di liquidazione coatta o vi vengano poste successivamente.
Nel primo caso, quello cioè in cui il veicolo non sia stato identificato, il risarcimento è dovuto per i soli danni alla persona.
In assenza della copertura assicurativa del veicolo, seconda ipotesi prevista dall'art. 19 della L. 990/69, il Fondo risarcisce i danni alla persona e quelli alle cose il cui ammontare sia superiore al controvalore in lire di 500 ECU, nonché per la parte eccedente tale ammontare.
Nella terza ipotesi, ove cioè l'impresa assicuratrice si trovi in liquidazione coatta, il risarcimento è dovuto per i danni alla persona ed alle cose.
L'obbligazione cui è tenuto il Fondo di garanzia ha natura risarcitoria: essa si sostituisce pertanto a quella del soggetto responsabile del danno, non sussistendo rapporto alcuno di solidarietà passiva tra Fondo e responsabile del sinistro.
L'attività esterna del Fondo di garanzia è svolta da alcune imprese di assicurazione, con competenza territoriale riferita al luogo di accadimento del sinistro, designate con decreto del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale, e alle quali è affidato l'incarico di provvedere alla liquidazione dei danni ed al pagamento dei relativi importi in favore degli aventi diritto.
L'impresa designata, per regione o gruppo di regioni, eseguito il pagamento, ottiene il rimborso dal Fondo delle somme versate.
Il nuovo Codice delle Assicurazioni, entrato in vigore all’inizio dell’anno 2006, contiene importanti novità legate al Fondo .
Con la riforma il Governo e l’Associazione delle imprese di assicurazione e consumatori hanno definito l’estensione dell’intervento del Fondo ai danni causati da un veicolo rubato.
In questo caso, vengono coperti i danni alla persona e alle cose subiti dai terzi non trasportati o traspor tati contro la propria volontà, limitando l’intervento del Fondo al massimale di legge in vigore al momento del sinistro.
Altra novità è il riconoscimento del diritto dell’assicurato alla restituzione del premio per il periodo di residua copertura, ossia quello a partire dal giorno successivo alla denuncia del furto del veicolo all’au torità di polizia.
Vi è stata,quindi,una importante estensione ai danni cagionati alle vittime da un veicolo a seguito di un episodio di criminalità comune come quello del furto del veicolo stesso.
B- Il Fondo INAIL
La Costituzione Italiana garantisce a tutti i cittadini il diritto alla salute sul luogo di lavoro e il diritto a mezzi adeguati alle esigenze di vita nel caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale.La legge stabilisce l’obbligo dell’assicurazione contro i danni fisici ed economici che il lavoratore subisce a seguito di infortuni e malattie causati dall’attivitàlavorativa.L’INAIL - Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul lavoro e le Malattie Professionali - gestisce quest’assicurazione obbligatoria.Dal 1965 - anno in cui è stato emanato il Testo Unico sull’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ad oggi, un susseguirsi di disposizioni legislative,di pronunce della Corte Costituzionale, nonché una consolidata interpretazione giurisprudenziale, hanno modificato il settore delle prestazioni forniteda questo Istituto, nel senso di una sempre più ampia tutela nei confronti del lavoratore.Basta citare, a titolo di esempio:• la legge 151/82 che, oltre a migliorare alcune prestazioni, ha esteso al lavoratore agricolo autonomo l’indennità per inabilità temporanea;• la legge 863/84 che ha disciplinato i contratti di solidarietà, di formazione e lavoro e di part-time;• la sentenza della Corte Costituzionale n. 179/88 (recepita dall’art.10 del decreto legislativo n. 38/2000), in base alla quale il lavoratore può dimostrarel’origine lavorativa della sua malattia, anche se questa non è contemplata come professionale nelle apposite tabelle del Testo Unico.Se la riforma ospedaliera del 1968, e l’istituzione del S.S.N. del 1978, hanno settorializzato l’aspetto terapeutico (affidato alla sanità) e l’aspetto indennitario (affidato all’Inail), la legge 67/88 ha confermato all’INAIL:• le funzioni medico legali e di certificazione nei confronti dei lavoratori infortunati e tecnopatici;• l’erogazione delle prime cure ambulatoriali, mediante convenzioni con le Regioni.Negli anni ’90, in seguito alla “maturazione sociale” del diritto del lavoratore non solo al risarci mento economico della menomazione subita, ma all’integrità fisica, è stato riassegnato all’INAIL un ruolo nell’ambito della tutela della salute e della sicurezza del lavoratore.In questo senso, vanno letti:• il decreto lgs. n. 502 del 1992, con il quale sono stati istituiti e regolati i flussi informativi tra INAIL e S.S.N. in tema di rischi e danni da lavoro a fini prevenzionali;• le leggi nn. 549/95 e 662/96 che hanno consentito all’INAIL investimenti in campo sanitario, soprattutto in quello riabilitativo, d’intesa con i programmi del Ministero della Sanità.Il decreto 38/2000 ha “razionalizzato” il ruolo complessivo dell’INAIL, tanto che oggi l’Istituto che gestisce l’assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro, si dedica oltre che alla cura e all’indennizzo in caso di infortunio o di malattia professionale:• alla prevenzione nei luoghi di lavoro,• alla riabilitazione e al reinserimento del lavoratore nella vita sociale, oltre che lavorativa.
c-FONDO CASALINGHE
Con Legge 3 dicembre 1999, n. 493 -Norme per la tutela della salute nelle abitazioni e istituzione dell'assicurazione contro gli infortuni domestici (G.U. n. 303 del 28 dicembre 1999)è stata assicurata la sicurezza e la salute attraverso la prevenzione delle cause di nocività e degli infortuni negli ambienti di civile abitazione e l'istituzione di una forma assicurativa contro il rischio infortunistico derivante dal lavoro svolto in ambito domestico.
Attualmente circa nove milioni di casalinghe, in base alla legge 493 del 3 dicembre ’99, beneficiano dello speciale fondo assicurativo gestito dall’Inail.
In realtà, la legge in questione riconosce, con ritardo, il diritto di tutela sancito dall’articolo 35 della Costituzione e trova applicazione a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale che, nel 1995, aveva equiparato il lavoro svolto all’interno della famiglia e per la famiglia, alle altre forme di lavoro.
Vi è stata ,inoltre,la estensione anche al caso di morte della copertura assicurativa contro gli infortuni domestici.
Ferma restando, quindi, l’obbligatorietà dell’iscrizione, merita di essere sottolineato che sono stati di fatto pochissimi i casi in cui, malgrado i molti eventi infortunistici denunciati, siano stati poi effettivamente elargite prestazioni in favore degli assicurati.
d-FONDO PER LE CALAMITA’ NATURALI
In un recente DDL è stata richiesto il riconoscimento della qualifica di infortunato sul lavoro anche ai cittadini rimasti invalidi, deceduti o dispersi a seguito di calamità naturali avvenute nei comuni individuati ai sensi della legislazione vigente.
Secondo il DDL ai cittadini riconosciuti permanentemente inabili da medici dipendenti da pubbliche amministrazioni deve essere immediatamente corrisposta, qualunque sia il grado di invalidità riportato, una rendita provvisoria, calcolata sulla base del minimale retributivo del settore industria e ragguagliata ad una inabilità del 50 per cento.
Entro un anno dalla costituzione della rendita, i singoli beneficiari sono sottoposti ad accerta menti medico-legali da parte dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) per l'esatta individuazione del grado di inabilità permanente. Ove, in sede di tali accertamenti, si riscontri, ai sensi delle disposizioni di cui al titolo I del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, un grado di inabilità permanente inferiore al 50 per cento, le somme eccedenti l'accertato grado di inabilità, corrisposte in data successiva all'accertamento, sono recuperate dall'istituto erogatore mediante rateazione, che comunque non può superare le sessanta rate.Ai superstiti di cittadini deceduti o dispersi in conseguenza degli eventi di cui innanzi sono imme dia ta mente corrisposti l'assegno di morte, le rendite e le altre prestazioni previste dal testo unico, approvato con decreto dal Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, per i requisiti dei lavoratori deceduti per infortunio sul lavoro o per malattia professionale.Le rendite ai superstiti sono calcolate sulla base del minimale retributivo del settore industriale di cui al titolo I del medesimo testo unico.
Ai cittadini riconosciuti temporaneamente inabili in conseguenza degli eventi arrecati da medici dipendenti da pubbliche amministrazioni è corrisposta immediatamente l'indennità giornaliera per inabilità temporanea per un periodo non superiore a sei mesi, calcolata sulla base del minimale retributivo del settore industriale, prorogabile per altri sei mesi.
Ai cittadini che prestano attività di volontariato a decorrere dal 1^ gennaio 1998, nei casi di incidente o di infortunio per cause inerenti la loro attività a favore delle popolazioni colpite dall'alluvione, è riconosciuto il trattamento infortunistico previsto per i lavoratori dipendenti dell'industria.
Le prestazioni sono anticipate dall'INAIL, con il sistema della gestione per conto, disciplinata dal decreto del Ministro del tesoro 10 ottobre 1985, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 46 del 25 febbraio 1986, e rimborsate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano alle quali è concesso, a carico del Fondo per la protezione civile, un contributo valutato sulla base dell'onere occorrente per riscattare, ad estinzione di ogni onere futuro, il valore capitale, determinato in base alle tabelle di cui al primo comma dell'articolo 39 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, delle rendite costituite dall'INAIL ai sensi del presente articolo.
Restano salvi i diritti alle maggiori prestazioni previste dal testo unico approvato con decreto del Presi dente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, ove ne ricorrano i presupposti.
3.Le nuove proposte normative
Come più innanzi esposto occorrerebbe,anzitutto,costituzionalizzare il principio della risarcibili- tà dei danni delle vittime dei reati prima ancora di affrontare una nuova Legge che disciplini la materia.
Sul punto va ricordato che allo stato risultano presentate due proposte di legge costituzionale concernenti la modifica dell’art. 111 della Cost in materia di garanzia dei diritti delle vittime di reato
a- PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE C 1242 BOATO
Modifica all'articolo 111 della Costituzione in materia di garanzia dei diritti delle vittime di reato
Presentata il 29 giugno 2006
b- PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE S 742 CASSON, BELLINI, COSSIGA,DE SIMONE,DONATI, FUDA, MALABARBA, MANZELLA, MONGIELLO, MONTINO, ROSSA,TIBALDI e VITALI
Modifica dell’articolo 111 della Costituzione, in materia di tutela e di garanzia dei diritti delle vittime di un reatoPresentata il 4 luglio 2006

Nelle relazioni accompagnatorie, di contenuto presochè identico,si sostiene l’approvazione della modifica costituzionale dell’art. 111 Cost in base all’argomentazione che[12] il Legislatore ha,nel 1999,modificato l’articolo 111 della Costituzione,mediante l’inserimento di norme volte a garan tire un processo definito e ritenuto «giusto processo» per dettato costituzionale.
La norma fondamentale e principale approvata nel 1999 concerne l’attribuzione di rango costituzionale al principio del contraddittorio; diverse singole disposizioni regolamentano la concretizzazione e l’esplicazione del principio del «giusto processo» e dello stesso principio del contraddittorio, quali quelle relative alle «condizioni di parità» tra le parti, alla «ragionevole durata» del processo e alla terzietà e imparzialità del giudice.
In particolare, la riforma costituzionale del 1999 è intervenuta su norme di natura processuale, per garantire alla persona accusata di un reato una vasta gamma di diritti e facoltà, ponendo la posizione dell’accusato per così dire sotto un amplissimo ombrello protettivo, di rango estremamente elevato, come può essere solo il rango costituzionale.
Peraltro,la norma riformata dell’articolo 111 (inserita nella sezione II del titolo IV della Costituzione: «Norme sulla giurisdizione»), pur citando ripetutamente «le parti» e «il contrad dittorio» tra le parti, non specifica i diritti e le facoltà di tutte le parti di un processo, concen trando la propria attenzione e preoccupazione sulla figura della persona accusata di reato.
Ora, come è ben noto, mentre le norme concernenti un’altra parte fondamentale e necessaria del processo, il pubblico ministero (e l’esercizio dell’azione penale), si trovano sia nella sezione I sia nella sezione II del titolo quarto citato della Costituzione, continuano invece a mancare dalla Carta costituzionale norme specifiche a tutela di un’altra parte ancora del processo, la vittima dei reati, nonostante che, fin dalla parte iniziale del testo costituzionale, quella sui «Princìpi fondamentali», si faccia continuo riferimento a princìpi ed esigenze di «solidarietà po litica, economica e sociale».
Si tratta certamente di una lacuna, che si riverbera anche all’interno del processo penale, ove la vittima del reato trova spazio soltanto se si costituisce parte civile benché alla stessa non venga garantita, allo stato delle norme, una piena tutela, anche perché essa inevitabilmente finisce per appesantire l’iter processuale, così costituendo (e così venendo per lo più percepita) un ostacolo alla rapida definizione del processo.
Da ciò deriva una sorta di emarginazione della parte civile, pur costituita nel processo, ad esempio dai procedimenti speciali (l’impossibilità di interloquire nell’ambito di un patteg giamento della pena, l’esclusione dal giudizio per decreto ex articolo 460, comma 5, del codice di procedura penale, l’impossibilità di impugnare l’ordinanza di esclusione della parte civile dal processo, la non previsione della stessa parte tra i soggetti legittimati a chiedere al giudice un’integrazione probatoria ex articolo 441-bis del codice di procedura penale).
È evidente quindi come occorra costituzionalizzare il principio della parità delle parti per potersi avere un «giusto processo», e come,in conseguenza,divenga inevitabile la previsione dell’inserimento nella Costituzione anche della tutela della vittima di un reato.
L’esigenza di una piena tutela delle vittime del reato è fortemente avvertita ai vari livelli e alle diverse istanze della nostra società, anche perché la parte danneggiata, la parte offesa e la parte civile costituita ricoprono un ruolo e rappresentano un interesse che molte volte non è erroneo definire di natura pubblica o collettiva.
Emblematico è il caso delle vittime del terrorismo, quello delle vittime delle stragi, quello degli infortuni-malattie mortali a causa del lavoro, quello delle vittime della criminalità, quello delle vittime di reati a sfondo sessuale soprattutto su minori, quello delle vittime di aggiotaggio o di reati societari-bancari, quello dei reati di disastro ambientale.
In tali fattispecie, è evidente che, accanto ad una pretesa formalmente risarcitoria come richiesto dalla legge ordinaria (qualche volta magari per un risarcimento puramente simbolico), assumono maggior rilievo e importanza, anche a livello sociale, la richiesta di verità (anche processuale) e l’interesse alla individuazione e alla punizione del colpevole.
Anche a livello internazionale tale esigenza emerge in tutta evidenza sia dalla trattazione che ne fa la Convenzione europea dei diritti umani sia dal contenuto dei provvedimenti frutto dell’attività giurisprudenziale della Corte di giustizia di Strasburgo, la quale ha riconosciuto specifici doveri di «penalizzazione» da parte dei singoli Stati, che hanno trovato una loro collocazione formale nella «Decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea del 15 marzo 2001» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale CE L82 del 22 marzo 2001.
In questo atto del Consiglio si precisa cosa debba intendersi per «vittima» del reato e le si garantisce la possibilità di essere sentita durante il procedimento (articolo 3). Le si riconosce il diritto di accesso alle informazioni rilevanti ai fini della tutela dei suoi interessi (tra cui quella al patrocinio gratuito), con particolare riferimento al seguito riservato alla sua denuncia e ad essere informata, nei casi in cui esista un pericolo per la vittima, del rilascio dell’imputato o della persona condannata (articoli 4 e 6). Si riconosce il diritto al rimborso a favore della vittima, sia essa parte civile o testimone, delle spese sostenute a causa della legittima partecipazione al processo penale (articolo 7). Si riconosce il diritto alla protezione sua, a quella dei suoi familiari e alle persone ad essi assimilabili, ove si accerti l’esistenza di una seria minaccia di atti di ritorsione o di intromissione nella sfera della vita privata, protezione da garantire anche come riservatezza e tutela della sfera privata e dell’immagine, sia negli edifici giudiziari e di polizia che al loro esterno (articolo 8). Si prevede una normativa che incoraggi l’autore del reato a risarcire la vittima (articolo 9). Infine, sono previsti la cooperazione tra Stati, finalizzata alla protezione degli interessi della vittima nel procedimento penale, nonché la costituzione di servizi specializzati e di organizzazione della assistenza alle vittime.
Su questo tema si è avuta una notevole sensibilizzazione anche negli Stati Uniti d’America, che hanno approvato una proposta di emendamento alla Costituzione (Crime Victims Bill of Rights), volta a garantire una serie di diritti alle vittime dei crimini violenti: in particolare, quello ad informare e ad essere informati, a presenziare a tutte le fasi del procedimento, ad essere ascoltato in ogni fase del processo come avviene per l’imputato, ad essere informati su tutto ciò che riguarda l’aggressore, ad avere un processo rapido, ad ottenere il risarcimento totale dei danni da parte dell’imputato una volta che sia stato condannato, ad essere ragio nevolmente protetto dagli atti violenti dell’imputato o del condannato, ad essere informato sui diritti spettanti alle vittime.
Di fronte a tali tendenze e previsioni normative internazionali, che tendono a superare ritardi e vuoti legislativi fortemente pregiudizievoli per il soggetto più debole e meno garantito, diviene ancora più necessario e doveroso intervenire a tutela della vittima del reato anche all’interno delle regole del «giusto processo».
E proprio per superare questi vuoti e questi ritardi, oltre che per riconoscere il livello istituzionale più elevato possibile alla tutela delle vittime e dei più deboli, si propone di riconoscere, nel testo dell’articolo 111 della nostra Costituzione, cittadinanza processuale alla vittima del reato, attraverso la previsione che ad essa vanno applicate tutte le norme dettate a garanzia della persona accusata di un reato.
Si ritiene che sarà sufficiente questo richiamo «costituzionalizzato» per convincere il legisla tore ordinario a dare attuazione al quadro normativo dettato a garanzia dei diritti delle vittime di reato in sede di Consiglio d’Europa, superando ritardi e dimenticanze e così dando avvio ad un processo penale certamente più giusto per tutte le parti e quindi anche per le vittime dei reati.
Per quanto attiene alla disciplina della tutela ,in concreto,delle vittime del reato,meritano di essere ricordate le tre Proposte di Legge in materia di l'assistenza, il sostegno e la tutela delle vittime dei reati
a- PROPOSTA DI LEGGE C 30 BOATO
Legge quadro per l'assistenza, il sostegno e la tutela delle vittime dei reati
Presentata il 28 aprile 2006
b- PROPOSTA DI LEGGE C 520 TOLOTTI, CRISCI, D'ANTONA, DE BIASI, DE BRASI, FEDI, FILIPPESCHI, FINCATO, CINZIA MARIA FONTANA, GIULIETTI, GRASSI, GRILLINI, LEONI, MANTINI, MARONE, MARTELLA, RICARDO ANTONIO MERLO, MOTTA, MUSI, NARDI, OTTONE, PINOTTI, POLETTI, RAITI, RUGGERI, RUGGHIA
Legge quadro per l'assistenza, il sostegno e la tutela delle vittime dei reati
Presentata l'8 maggio 2006
c-PROPOSTA DI LEGGE C 981 ZANOTTI, LENZI
Legge quadro per l'assistenza, il sostegno e la tutela delle vittime dei reati
Presentata il 6 giugno 2006
Nelle relazioni accompagnatorie, anch’essere di contenuto sostanzialmente identico, si sostiene che anche se la vittimologia come ramo autonomo della disciplina criminologica è piuttosto risalente nel tempo, i problemi delle vittime dei reati sono stati a lungo trascurati, e questa sensazione di abbandono è stata acuita dalla progressiva concentrazione di attenzione verso la personalità e gli interessi dell'autore del reato e dal talora mortificante raffronto, specie per le vittime traumatizzate in massimo grado, con il dispendio di risorse ed energie provocato dalle varie forme di protezione previste a favore di «coloro che collaborano con la giustizia», dopo averla offesa.
Un efficace stimolo al riconoscimento della posizione della vittima come soggetto debole meritevole di una particolare tutela giuridica sia nel sistema penale di diritto sostanziale che in quello di diritto processuale è venuto da un intervento normativo a livello europeo, attuato con la decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001 adottata dal Consiglio dell'Unione europea, che individua uno standard minimo di diritti che ciascun Paese membro deve garantire alle vittime del reato, quali portatrici di istanze autonome cui ciascun ordinamento deve dare spazio e soddisfazione.
Alcuni progressi sono stati ottenuti nella nostra legislazione, in ragione essenzialmente dei drammatici passaggi attraversati dal Paese nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata.
Tuttavia molto deve esser fatto e per tali ragioni la seguente proposta di legge, già presentata nella XIV legislatura (atto Camera n. 3367), mantiene intatte le sue motivazioni giuridiche e sociali.
Se per molti Paesi si è trattato di armonizzare e adeguare opzioni normative già accolte da tempo, sia pure senza un particolare coordinamento, per altri Paesi (come l'Italia) l'approccio europeo a tematiche di questo tipo ha costituito l'occasione di tentare un primo inquadramento del problema, elaborando e mettendo a punto un testo articolato di norme (alcune
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di carattere programmatico, altre più specifiche) che tenesse conto delle indicazioni desumibili dalla decisione europea del 2001 e dagli indirizzi che conseguentemente, negli anni successivi, la giurisprudenza comunitaria ha assunto, così da realizzare un assetto istituzionale della materia all'interno di uno spazio giuridico comune.
E ciò in quanto l'Italia ha adottato finora misure e forme di assistenza, sostegno e informazione solo a favore di alcune vittime «particolari» (terrorismo e criminalità organizzata), trascurando del tutto - fatta eccezione per alcune iniziative di amministrazioni regionali (in Lombardia, in Emilia-Romagna, eccetera) - le vittime della criminalità comune verso le quali il Consiglio dell'Unione europea ha dettato invece prescrizioni da far valere per l'intera Unione.
Anche richiamandosi alle conclusioni del Consiglio dell'Unione europea di Tampere del 1999, questa proposta di legge quadro intende in particolare rendere concreto ed effettivo il principio di non discriminazione fondato sulla nazionalità almeno per ciò che concerne alcuni aspetti fondamentali della tutela, quali l'informazione e l'assistenza, prevedendo poi per le vittime residenti all'interno dell'Unione europea l'applicazione di specifici istituti processuali, come l'esame testimoniale a distanza, attraverso il regime della videoconferenza (articoli 1 e 4, comma 2).
In riferimento agli indirizzi adottati dal Consiglio dell'Unione europea, la proposta di legge si muove in una triplice direzione, così da garantire alla persona offesa dal reato: da un lato, un'informazione il più possibile piena e capillare dei diritti che le spettano sia in sede giudiziaria che in sede amministrativa, predisponendo e allestendo appositi servizi e organismi in tale senso; dall'altro, un ampliamento delle sue facoltà all'interno del processo penale, riconoscendole una più attiva possibilità di partecipazione all'iter della intera vicenda giudiziaria; dall'altro lato, ancora, un'assistenza di natura economica in grado di alleviarne il disagio, nei casi in cui l'autore di determinati reati non sia stato identificato ovvero sussistano ragioni che rendano indispensabile, in assenza di altre fonti, un contributo equitativo al suo ristoro finanziario da parte dello Stato.
Tra i compiti dello Stato si è inserita l'introduzione di un sistema di conciliazione tra le parti, vittima e reo, operando una valorizzazione degli strumenti necessari a promuovere la mediazione nell'ambito dei procedimenti penali per i reati ritenuti più idonei a sopportare questo tipo di intervento [(articolo 3, comma 3, lettera d)].
Tali possibilità alternative, peraltro, si inseriscono all'interno di una più ampia scelta razionalizzatrice dell'organizzazione giudiziaria, la cui parte esponenziale è oggi rappresentata dalla riforma del giudice unico di primo grado, dall'istituzione dei cosiddetti «tribunali metropolitani», dalla depenalizzazione dei reati minori e dall'attribuzione della competenza penale al giudice di pace: iniziative, queste, volte non solo a snellire il carico degli uffici giudiziari dal peso di una serie di processi riconducibili in larga parte al cosiddetto «diritto penale minimo», ma anche a favorire il reinserimento del reo nel circuito sociale, attraverso il consenso della vittima in un'ottica di riconciliazione tesa a ricomporre la cosiddetta «pace sociale».
Come è agevole ricavare dalla lettura del testo, ci si è proposti di elaborare una vera e propria «tavola dei diritti» delle vittime di tutti i reati, sull'esempio del Crime Victim's Bill of Right degli Stati Uniti del 1990, così da tutelare gli interessi della vittima in modo uniforme e generale, non limitati cioè alla sola fase processuale.
Il primo problema da risolvere è parso in ogni caso quello di identificare i destinatari della disciplina, stante la non unitarietà del concetto di «vittima del reato» come modello di riferimento.
A fronte della concezione classica della vittima identificata tout court come la «persona offesa dal reato», titolare del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice violata (bene che si postula leso o messo in pericolo dall'azione o dall'omissione del colpevole), cui il codice di rito del 1988 ha riservato un autonomo spazio all'interno del libro I, si è ritenuto opportuno accogliere
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una nozione più estesa, coincidente tendenzialmente con la descrizione della persona danneggiata dal reato, incentrata sul riferimento alla titolarità di un interesse patrimoniale o non patrimoniale pregiudicato in via diretta e immediata dall'azione criminosa, facendo ricorso a parametri interpretativi già esistenti nei nostri codici, come la nozione di «prossimi congiunti» (articoli 307, quarto comma, del codice penale; 90, comma 3, del codice di procedura penale) e quella fondata sulla convivenza more uxorio e sul vincolo dell'adozione, utilizzando le indicazioni fornite al riguardo dall'articolo 199 del codice di procedura penale sia pure al diverso fine di individuare alcuni dei soggetti che per i loro rapporti con l'imputato (o l'indagato) hanno facoltà di astenersi dal deporre.
Attraverso la ricostruzione dei lineamenti della «vittima del reato», espressione che nella legislazione straniera sembra abbracciare sia il soggetto passivo che il danneggiato dal reato, con l'articolo 1 si è proceduto ad enucleare una nozione ampia di «vittima», basata sul diretto collegamento dell'offeso al danno consistente nella lesione dell'interesse protetto, in modo da consentirne un'immediata identificazione e l'apprestamento di forme di tutela di natura pubblicistica, lasciando al danneggiato più generico di dimostrare di aver subìto un danno civile, non potendo farsi carico al pubblico ministero di indagare per accertare una qualità (quella di danneggiato in senso lato) che può essere presupposto di un'azione non officiosa da esperire secondo i canoni della domanda giudiziale civile.
a-Un primo punto qualificante della proposta di legge è quello di predisporre un sistema adeguato e qualificato di informazione che, allo stato attuale, è garantito soltanto all'indagato, e in misura estremamente ridotta alla vittima.
A tal fine viene predisposto un sistema di interventi quanto più possibile integrato, che mira a coinvolgere e mobilitare l'insieme dei diversi attori istituzionali e privati interessati dal problema, centrali e locali, Ministeri ed enti locali, in modo da favorire una presa in conto concreta delle esigenze della vittima e di assicurare ad essa un aiuto efficace nella soluzione delle difficoltà incontrate e delle sofferenze subite.
È indubbio che il sistema processuale italiano, ripensato con la riforma del 1988, è stato connotato da una attenzione specifica alle esigenze della persona offesa dal reato, riservando ad essa spazi costituiti dall'attribuzione di facoltà e di diritti in ogni stadio della procedura, al punto da dedicare alla «persona offesa dal reato» un intero titolo, il VI del libro I, del codice di procedura penale, significativamente inserito tra quelli relativi ai «soggetti» del procedimento. La proposta di legge-quadro si propone di rafforzare ed ampliare queste garanzie soprattutto ai primissimi stadi in cui avviene il contatto tra la vittima e le istituzioni, evidenziando l'impor tanza del ruolo della persona offesa in quanto tale nelle varie fasi del processo penale, com presa quella esecutiva, attribuendole poteri di impulso, stimolo, collaborazione e controllo atti a far valere le proprie pretese di giustizia, contribuendo alla corretta impostazione dell'accusa, anche prima ed indipendentemente dalla costituzione in giudizio come parte civile. In quest'ottica vengono suggerite alcune modifiche a norme del codice di rito, volte ad assicurare la partecipazione attiva della persona offesa dal reato al procedimento fin dalla fase delle indagini preliminari, mediante l'attribuzione di una serie di diritti e facoltà di particolare rilievo, anche a fini più squisitamente di tutela della sua incolumità personale.
In quest'ottica si demanda al regolamento di attuazione il compito di verificare la formazione e la professionalità dei soggetti istituzionali abilitati all'attività di informazione (polizia, autorità giudiziaria e sportello), indicando alla vittima i percorsi da seguire, da quelli strettamente connessi all'iter giudiziario (presentazione della denuncia, modo di contattare un avvocato, costituzione di parte civile, eccetera) a quelli di carattere più squisitamente sanitario e psicologico, fino a quelli attinenti all'assistenza
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più prettamente economica (modalità di accesso al Fondo di assistenza alle vittime dei reati, etc).
b-Il secondo aspetto qualificante della proposta di legge attiene alla previsione della istituzione di un Fondo di garanzia destinato a far ottenere alle vittime una riparazione che non possono ottenere per altre vie (articolo 6). A parte la scelta dei reati che consentono alle vittime l'accesso al Fondo - che è stata limitata ai reati di maggiore allarme sociale, di carattere doloso, contro la persona e l'incolumità pubblica, pur auspicando che in futuro si possa allargare la relativa area di operatività - si è ritenuto opportuno limitare il diritto di accesso solo a talune categorie di soggetti (persona offesa o determinati superstiti in caso di morte della persona offesa), suggerendo di fissare un limite massimo di riparazione e di circondare la possibilità di ricorso al Fondo entro limiti estremamente rigorosi, così da evitare strumentalizzazioni e dispersioni di danaro, ancorando l'esercizio del relativo diritto a condizioni processualmente certe (una sentenza irrevocabile di condanna, un decreto di archiviazione per essere rimasti ignoti gli autori del crimine).
c-Il terzo ed ultimo aspetto qualificante della normativa proposta è l'istituzione di un organismo tecnico specializzato, il Comitato per l'assistenza e il sostegno delle vittime dei reati (articolo 8), non essendo apparso opportuno affidare agli organi istituzionali già esistenti compiti ed attribuzioni che esigono una speciale sensibilità e preparazione al problema vittimologico.
Il Comitato non deve limitarsi, infatti, ad accertare ed applicare le norme concernenti la riparazione pecuniaria, ma deve svolgere altresì compiti propulsivi per assicurare la migliore assistenza alle vittime e la prevenzione, conducendo inchieste e ricerche, sviluppando ed estendendo i servizi di assistenza, sensibilizzando quelli già esistenti, ed elaborando le soluzio ni più opportune al riguardo.
A tale fine è apparso determinante il collegamento attraverso gli sportelli istituiti su tutto il territorio nazionale, così da realizzare un contatto diretto e immediato con le vittime in atto e potenziali.
4- Conclusioni.
L’utilizzazione dei Fondi ai fini della risarcibilità del danno per le vitti me della crimi nalità
Nell’ottica del Legislatore vi è stata, quindi, negli anni una estensione della utilizzazione dei Fondi per coprire eventi comunque legati a fatti lesivi della vittima dell’incidente stradale e/o infortunistico che hanno consentito un risarcimento del danno patito in maniera oggettiva.
Occorre,quindi,mettere mano rapidamente ad una riforma che comporti una risarcibilità ogget tiva delle vittime della criminalità e che preveda un iter rapido attraverso l’accertamento sia delle causa dell’evento, sia delle conseguenze economiche e morali derivanti dal fatto reato sebbene è fuor di dubbio che occorra che la stessa venga preceduta da un necessario adegua mento della norma dell’art.111 della Costituzione.
Si pensi al caso della vecchietta rapinata della pensione sociale o derubata dei risparmi in casa ovvero truffata da soggetti rimasti ignoti in cui il provento della rapina,del furto o della truffa, oltre a lesioni personali, cagionino danni economici che impediscano di provvedere ad esigenze primarie come l’affitto di casa,il pagamento delle utenze,l’acquisto di medicinali.
In tutti questi casi, l’intervento dello Stato per la tutela di tali eventi appare,oltre che necessa rio, anche opportuno in considerazione del compito primario a carico dello stesso che è quello di assicurare l’ordine pubblico, compito in cui lo Stato,spesso,risulta carente.
Una tutela generalizzata delle vittime del reato, attingendo ai Fondi assicurativi o previdenziali, consentirebbe di garantite alle vittime stesse di evitare,se non l’evento, le conseguenze pregiudizievoli sul piano fisico,morali e,soprattutto,economico dell’evento medesimo.
Si tratta,quindi,di estendere le tutele attualmente previste anche a tale categoria di soggetti, attesa la rilevanza che l’aumento considerevole degli episodi di criminalità difficilmente conte nibili con gli attuali strumenti ha assunto nella nostra società contemporanea.

Roma,Camera dei Deputati 22 Febbraio 2007

Mario Pavone
Presidente
ANIMI

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[1] Mario Pisani,Vittime - Uno statuto europeo
[2] recante il n.116 della serie dei trattati dell’organo di Strasburgo
[3] (COM(1999) 349 - C5-0119/1999 -1999/2122(COS))
[4] Corte Cost. 14/6/86 n. 184, in Resp. Civ. Prev., 1986, 520, con nota di Scalfi; conf. Corte Cost. 30/12/87 n. 641, in Foro It., 1988, 694, che, in un passo della motivazione, afferma: “questa corte ha messo in rilievo la nuova valenza del citato art. 2043 c.c., a seguito e per effetto dell’entrata in vigore della Costituzione, come strumento per la protezione dei valori che essa prevede ed assicura, tra cui ha un rilievo precipuo il principio della solidarietà, nonché la stretta relazione che ne deriva tra la detta norma e i precetti costituzionali, al fine della determinazione dell’illecito e della riparazione che ne consegue alla violazione del precetto”.
[5] Cass. 11/11/86 n. 6607, in Foro It., 1987, 833, con nota di A.M. Princigalli, sentenza che è stata molto travagliata e discussa in camera di consiglio tanto che l’estensore, S.E. Schermi, è persona diversa dal relatore; tale sentenza della S.C. è stata la prima, com’è facilmente desumibile anche dalla sua data, a sentire forte l’influenza del dettato della Corte Cost. 14/6/86 n. 184;
[6] Cass. 28/11/96 n. 10606, in Resp. Civ. Prev., 1997, 393, che ha affermato che il fondamento del danno morale subiettivo è ravvisabile nella c.detta dignità della persona umana, offesa dal reato, e così negli artt. 2 e 3 della Costituzione e negli altri referenti che tutelano la li­bertà e la dignità della persona umana; Cass. 15/4/98 n. 3807, in Mass. Foro It., 1998, 408, che ha affermato che un disastro costituente fatto reato di enorme gravità, per il numero delle vittime e per le devastazioni ambientali dei centri storici determina, come fatto-evento, la lesione del diritto costituzionale dell’ente territoriale esponenziale (il comune) alla sua identità storica, culturale, politica, economica costituzionalmente protetta.
[7] Cass. 13/11/97 n. 11236, in Resp. Civ. Prev., 1998, 661, con nota di Zivic, che ha affermato la sussistenza di un danno patrimoniale in capo ai familiari, a seguito della morte del congiunto, derivando esso dalla lesione di un diritto avente rilevanza costituzionale, artt. 29 e 30 Cost..
[8] Cass. 28/11/96 n. 10606; Cass. 15/4/98 n. 3807; Cass. 13/11/97 n. 11236.
[9] Sentenza del 3/12/1998-20/1 e 18/2/1999, Pres. Wildhaber, Laino/Italia, proprio in tema di violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione; con detta sentenza la Corte Europea, per un processo relativo allo status delle persone, durato otto anni e due mesi, ha accolto il ricorso ed ha condannato lo stato Italiano al pagamento, in favore del ricorrente, l’importo di L. 25.000.000 per danno morale, oltre interessi al tasso del 5% annuo ed oltre spese processuali liquidate nella misura di L. 16.305.440; Sentenza del dì 1/7/1997, Torri/Italia, proprio in tema di violazione dell’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione; con detta sentenza la Corte Europea, per un processo relativo ad un’azione di risarcimento danni a seguito di un incidente stradale, durato, tra fase penale e fase civile, diciassette anni circa, ha accolto il ricorso ed ha condannato lo stato italiano al pagamento, in favore del ricorrente, del danno morale oltre spese del procedimento; Sentenza del dì 8/2/1996, Pres Ryssdal, A. e altri/Danimarca, proprio in tema di violazione dell’art. 6, paragrafo q, della Convenzione; con detta sentenza la Corte Europea, per un processo relativo al risarcimento del danno alla salute per contagio da HIV, durato sei anni e due mesi ne casi più lunghi sottoposti alla Corte, ha accolto il ricorso ed ha condannato lo Stato Danese al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, dell’importo di 100.000 DKr, per danno morale, oltre interessi e spese di lite.
[10] Le espressioni, tra virgolette, sono mutuate da F.D. Busnelli, Lesione di interessi legittimi: dal “muro di sbarramento” alla “rete di contenimento”, in Danno e Resp., 1997, 269 e segg., in tema della tutela aquiliana degli interessi legittimi.
[11] Cass. 23/4/98 n. 4186. Cass. 11/2/98 n. 1421, in Resp. Civ. Prev., 1998, 1008, con nota di P. Ziviz.


[12] legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2
SU DI UN CASO DI EMBOLIA GASSOSA DA ACQUA OSSIGENATA/AMUCHINA
di Giusto Giusti (postato 8 maggio 2008)

E’ noto che l’acqua ossigenata, impiegata come disinfettante per le ferite, può liberare ossigeno in circolo o nei tessuti o in cavità, e causare embolie aeree o raccolte aeree, ed è sufficiente una rapida scorsa in PubMed per rendersene conto (vedi per esempio Donati e coll., Severe air embolism after surgical irrigation with hydrogen peroxide, Press Méd., 28, 173, 1999; Bassan e coll., Nera fatal sistemi oxigen embolism due to wound irrigation with hydrogen peroxide, Postgrad. Med. J., 58, 448, 1982; Swayne e coll., Pneumoperitoneum secondary to hydrogen peroxide wound irrigation, Am. J. Roentgenol., 148, 149, 1987). E’ registrato anche un caso di pneumocefalo (Chabra e coll., Fatal posterior fossa pneumocephalus due to hydrogen peroxide irrigation of lumbar wound, Brit. J. Neurosurg., 14, 549, 2000).
Del tutto recentemente, Giovanni Pierucci (L’embolia gassosa, in Trattato di medicina legale e scienze affini, vol. IX, CEDAM, Padova 2008, pagg. 137- 160), occupandosi dei problemi diagnostici relativi all’embolia gassosa, ha aggiornato la casistica (Sastre et al., 2001; Henley et al., 2004; Hussain-Khan et al., 2004), riportando anche un caso verificatosi nell’infiltrazione del cuoio capelluto (Miranda P. et al., An oxygen embolism after hydrogen peroxide scalp infiltration. J. Neurosurg., 104, 152, 2006).
Quadri di embolia gassosa venosa si possono verificare anche in casi di ingestione accidentale o suicidiaria di acqua ossigenata (vedi da ultimo Moon et al., 2006, J. Emergency Medicine), che non ho tuttavia potuto verificare in un mio vecchio caso (Giusti G. V.: Fatal poisoning with hydrogen peroxide. For. Sci. Int., 2, 99, 1973).
Il caso che presento qui riguarda un uomo attualmente di 33 anni, il quale, all’età di 24 anni fu ricoverato per ematoma intracerebrale destro, svuotato e decompresso mediante craniotomia e asportazione di opercolo osseo, successivamente riposizionato. Due anni dopo, per l’imperfetta consolidazione dell’opercolo sulla teca e per la ricomparsa di un episodio comiziale, il paziente fu nuovamente ricoverato. Nel corso della medicazione locale, fatta con acqua ossigenata diluita, amuchina diluita e mercurocromo, il paziente andò incontro ad emiplegia contro laterale, attribuita alla presenza di aria negli spazi sub aracnoidei della volta e ad aumento della raccolta emorragica, dimostrate dalla TAC.
Cure ed interventi successivi non modificarono la situazione clinica, ed al momento della mia CTU il paziente era emiplegico (arto superiore rigido in flessione, arto inferiore rigido in estensione, paralisi centrale del faciale).
Alcuni elementi di chiarezza e molti di confusione furono portati dai vari CTP, ipotizzandosi di volta in volta la presenza di una fistola, dell’aria iniettata attraverso l’ago, dello sviluppo di gas da parte di batteri, etc. Emerse tuttavia che la disinfezione della ferita fu eseguita spruzzandoci sopra acqua ossigenata diluita, amuchina diluita e mercurocromo e che la TAC cerebrale mostrava un’area di gas di 3x3 cm a livello della scissura pre- rolandica.
Premesso che in nessun luogo si consiglia l’impiego contestuale di quei tre farmaci, e che il mercurocromo non dà luogo a sviluppo di gas, rimane valida l’ipotesi che a formare la bolla gassosa siano stati l’ossigeno ed eventualmente anche il cloro, liberato dalla amuchina. Il gas non fu recuperato né analizzato: a favore della tesi che si trattasse di ossigeno, è il fatto che l’ossigeno si libera rapidamente dall’acqua ossigenata e che l’emiplegia è stata pressoché immediata; a favore della tesi che si sia liberato anche del cloro nel corso della disinfezione, sta il fatto che l’emiplegia non ha avuto alcun miglioramento nel tempo.
Fu ammesso il danno iatrogeno, valutato nella misura del 30%.

domenica 5 ottobre 2008

SANITA' CARCERARIA

DIFETTI DI COMPLIANCE, OPPORTUNISMI E STRUMENTALIZZAZIONI DEL PAZIENTE IN AMBITO PENITENZIARIO. RESPONSABILITA’ ED ASPETTI MEDICO – LEGALI DEL PERSONALE SANITARIO.

di GIUSTO GIUSTI

Conferenza tenuta al Convegno della SOCIETA’ ITALIANA DI MEDICINA E SANITA’ PENITENZIARIA.
Roma, Regina Coeli, 30.9.2002



INTRODUZIONE
Le mie esperienze in tema di medicina penitenziaria sono di carattere peritale. Non ho mai praticato la medicina clinica all’interno del carcere, ma solo ho effettuato perizie e consulenze quasi esclusivamente concernenti la cosiddetta compatibilità carceraria. Posso quindi avere una visione distorta dei problemi, e certamente il materiale umano portato alla mia attenzione professionale ha avuto una selezione sui generis, analogamente alla selezione che si ha nel materiale che sia oggetto di indagine medico- legale.
Tuttavia, ho iniziato questa forma di attività peritale molti anni or sono, quando si cominciava a discutere su cosa si dovesse intendere per “condizioni di salute particolarmente gravi”. Se ne discute ancora naturalmente, e non se ne capisce più di allora, e io ho il torto di avere scritto parecchio in proposito, dato che allora non c’era molto di scritto, salvo qualche sentenza di cassazione. Dunque, il mio punto di vista non è il punto di vista clinico, ma un punto di vista per così dure comparativo, un tentativo di porre in relazione lo stato di salute del detenuto con le capacità cliniche dei medici del carcere e con l’attrezzatura disponibile nel carcere stesso, cosicché il detenuto non corra pericoli per la propria salute. Già decenni or sono si intuiva che le disposizioni concernenti la compatibilità carceraria sarebbero diventate uno strumento alternativamente punitivo e premiante, in cui le redini erano tenute dal magistrato ed il medico legale diventava soltanto lo strumento di una decisione talvolta già presa in nome delle esigenze di sicurezza. Dagli albori all’odierno sviluppo della compatibilità carceraria le situazioni non sono molto mutate.

PATOLOGIE CURABILI IN CARCERE
Quali patologie i medici del carcere sono in grado di curare, per loro preparazione e per disponibilità di strutture potrebbe essere dedotto dai criteri con i quali si assegnano gli incarichi sanitari all’interno del carcere, dalla loro numerosità e distribuzione, dalle specializzazioni rappresentate, dalle strumentazioni diagnostiche, dalla presenza di un Centro clinico e di una sala operatoria, e di una sala di terapia intensiva, e altro. Il fatto, tuttavia, che un carcere sia dotato di Centro clinico, e che questo sia dotato, per esempio, di una sala operatoria, non significa necessariamente che queste strutture siano usate, poiché il detenuto, specie se questi sia in attesa di giudizio, non può essere obbligato, continuando l’esempio, ad operarsi in carcere. E d’altra parte il carcere non può e non deve essere un ospedale. Non è però irrilevante ricordare che esistono gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, da cui si potrebbe dedurre la possibilità dell’esistenza degli Ospedali Giudiziari, come in alcuni altri Paesi. L’ipotesi di adibire uno o più ospedali in Italia alla cura esclusiva dei detenuti è già stata affrontata, e scartata verosimilmente per i costi eccessivi e per i problemi che ne potrebbero sorgere relativamente alla responsabilità dei medici. L’ovvia conseguenza è che se un detenuto deve essere ricoverato sarà ricoverato in un normale ospedale, dove sarà per lo più malvisto e dimesso quanto prima. Analogamente accadrà quando vi sia bisogno di qualche esame particolare, che non può essere praticato in carcere: l’appuntamento per l’esame sarà dilazionato quanto possibile, o meglio ancora rifiutato. Tutto questo rappresenta un limite oggettivo all’esplicazione delle potenzialità tecniche, sia della struttura carceraria sia del singolo medico, e per questa ragione probabilmente sarebbe più utile valutare quale sia il livello minimo di assistenza in carcere accettabile dai detenuti e dalla società nel suo insieme, e quale sia il livello massimo accettabile in relazione alle risorse disponibili.
La mia impressione, basata sull’esperienza, è che il detenuto accetti un livello di assistenza e cure equiparabile a quello di cui potrebbe godere disponendo del medico di famiglia e della possibilità di effettuare qualche esame in via ambulatoriale, e che, nella necessità di praticare esami un po’ sofisticati, preferisca effettuarli in un ospedale.
Si può dunque ammettere una equivalenza tra medico di famiglia e medico incaricato del carcere, che abbia la disponibilità di far eseguire visite specialistiche ed alcuni esami strumentali e di laboratorio.

PATOLOGIE E CATEGORIE DI DETENUTI
Se questo punto di vista sia valido per esaminare e curare tutte le varie categorie di detenuti [giudicabili, appellanti, ricorrenti, definitivi] è opinabile, con riferimento particolare ai detenuti in attesa di giudizio. Il nostro ordinamento giudiziario, e soprattutto la sua pratica applicazione favoriscono la lentezza dell’indagine e le lunghe attese del giudizio. Questi elementi, come più volte ho avuto occasione di dire e di scrivere, hanno straordinarie caratteristiche di patogenicità, e di fatto producono reazioni carcerarie che diventano vere e proprie malattie, non più controllabili dal medico, che si giovano solo di un provvedimento amministrativo. Se indagini e attese per il processo fossero meno lunghe, certamente i medici penitenziari avrebbero meno da lavorare.
Si ritiene dunque valido il punto di vista in precedenza enunciato solo per i condannati definitivi, i quali sono ormai certi del loro futuro prossimo e non hanno più interesse ad usare la malattia a proprio profitto, ciò che invece contraddistingue le categorie di detenuti in attesa del giudizio definitivo.
Nella mia esperienza i definitivi hanno una patologia con le stesse caratteristiche di quella che interessa la popolazione generale, e dunque la cura di questi pazienti non dovrebbe porre problemi diversi da quelli che un medico normalmente incontra. P4er questa ragione, mi sembra importante che il medico sia al corrente della posizione giudiziaria del suo paziente.

PATOLOGIE DEL DETENUTO GIUDICABILE
Quando invece la malattia è usata a proprio profitto, le sue caratteristiche cambiano, e si può assistere alla creazione di un sintomo, di una diagnosi, di una malattia ed al suo mantenimento.
La creazione ex novo di un sintomo o di un segno non è molto difficile, e buona parte dei detenuti sono al corrente delle modalità mediante le quali una ematuria, una tachicardia, un innalzamento della pressione arteriosa possono essere creati ad arte. Naturalmente è molto meglio se il segno o il sintomo erano già presenti prima della carcerazione, cosicché si allontana il sospetto di una franca simulazione. E’ accaduto che il segno o il sintomo siano stati precostituiti ad arte, spesso con l’aiuto di un medico, in modo da avere la base per una successiva ed eventuale richiesta di arresti domiciliari per motivi di salute. Questo segno o sintomo deve essere per così dire avvalorato e garantito mediante esami praticati in carcere o su richiesta del carcere, e per questa ragione in questi casi ò frequente l’insistenza richiesta di nuovi e più completi esami diagnostici, che potrebbero giustificare quel segno o quel sintomo.
La creazione di una diagnosi rappresenta il passo successivo. Dare un nome a quel segno o a quel sintomo in un documento ufficiale come una cartella clinica è importante, e può passare attraverso veri e propri falsi, materiali o ideologici. La presentazione di un simile documento al medico penitenziario non può non avere il suo peso, quanto meno comporta la necessità di confermare od escludere detta diagnosi, e rappresenta di fatto un importante lavoro di controllo che deve essere fatto. Il medico penitenziario deve avere la consapevolezza che la sua diagnosi è tenuta sempre in minor conto rispetto alla diagnosi ospedaliera.
La creazione della malattia rappresenta l’ultimo passaggio. Essa comprende una serie di azioni finalizzate alla realizzazione della malattia, eventualmente anche grave e pericolosa, idonea ad ottenere i benefici sperati. Ancorché autoprovocate, queste malattie debbono essere curate, e in genere il detenuto non si sottrae alle cure, ancorché tenti di vanificarle. Ricordo tra queste:
- Lo sciopero della fame dichiarato.
- Lo sciopero della fame nascosto.
- Il decadimento delle condizioni generali.
- Il cancro e i preparati istologici.
- L’eccesso di sale e l’ipertensione.
- L’assunzione abusiva e massiva di farmaci.
- L’autolesionismo.
- Il tentativo di suicidio come dimostrazione di malattia psichica e come azione lesiva autonoma.
- L’ingestione di corpi estranei.
- L’isteria.
- La simulazione di malattie di mente.
Il mantenimento della malattia può rappresentare una necessità per uscire dal carcere. Può rappresentare anche una conseguenza non voluta della creazione della malattia. Esso comprende anche tecniche di dissimulazione, come tener nascosti segni e sintomi fino alla loro esplosione clinica [fino all’angina instabile, al diabete scompensato, all’ipertensione grave, ecc...] o nascondere in parte segni e sintomi, e farli comparire in progressione. Le forme più diffuse comprendono però la mancata assunzione dei farmaci prescritti, eventualmente con una variante: fingere di assumere i farmaci, conservarli e poi assumerli tutti insieme. Può accadere che ciò avvenga con la complicità di medici, infermieri e personale di custodia.



CAUSE DELLA CREAZIONE DELLA MALATTIA
Le cause della creazione della malattia richiedono naturalmente la partecipazione del detenuto, dato che la malattia è finalizzata ad uno scopo, che è quello di ottenere benefici previsti dalla legge. Vi sono però anche situazioni oggettive, che consentono di comprendere, se non di giustificare, le modificazioni cliniche che si possono verificare, specie nel detenuto giudicabile. Alcune di queste situazioni potrebbero e dovrebbero essere rimosse, perché inaccettabili.
Dea tali cause possiamo annoverare:
1- La detenzione in sé, che comporta lo sconvolgimento dell’esistenza, una situazione di subordinazione, la privazione della normalità, ecc.
2- La previsione di una eccessiva lunghezza della custodia cautelare
3- La previsione della lunghezza del processo
4- La consapevolezza dell’innocenza
5- Il disadattamento al carcere
6- L’affollamento e la promiscuità
7- L’angosciosa incertezza dell’attesa

CONFLITTO FRA ESIGENZE DIVERSE
Poiché per loro natura sono profondamente diverse, le esigenze di carattere medico- sanitario possono entrare in conflitto con le esigenze di custodia, che sono abitualmente ritenute primarie rispetto alle esigenze mediche. In realtà così non dovrebbe essere, in particolare per i detenuti che ancora non sono stati giudicati, e che dunque, almeno sotto questo profilo, dovrebbero poter godere dei diritti di cui ogni cittadino gode, con l’eccezione della privazione della libertà. La regola della primazia della tutela della salute su altri obblighi dovrebbe comunque valere per tutti, posto che la punizione ha un senso solo quando vi sia qualcuno da punire, che non sia stato più severamente punito dalla morte o dalla perdita o compromissione della salute.
Le conseguenze del conflitto fra queste due giuste esigenze possono essere rappresentate da ritardi anche significativi nel compimento di atti medici, o anche dal loro mancato compimento, come in caso di soccorso d’urgenza, o di esami strumentali e di laboratorio, specie se devono effettuarsi all’esterno, o di somministrazione di farmaci, se assenti in carcere, o di trasferimento in luogo esterno di cura. Può ben accadere che tali ritardi e mancanze non rimangano senza conseguenze.


ERRORI NELLA DIAGNOSTICA PENITENZIARIA
La principale fonte di errore consiste nel considerare il paziente detenuto come un paziente qualsiasi.
Attendere che un detenuto chieda di essere visitato è un errore. E’ utile, benché difficile nelle carceri molto grandi, effettuare visite periodiche, così come prescritto. L’utilità delle visite periodiche è legata al modo con cui si fanno e al tempo dedicato, nonché alla collaborazione del detenuto, che potrebbe avere interessi diversi da quello di essere curato in maniera adeguata.
La visita medica di ingresso è troppo superficiale e poco credibile, e l’anamnesi è di solito nettamente insufficiente.
L’esame obiettivo fisico andrebbe completato con esami chimico -clinici e strumentali di routine e con uno screening tossicologico. Lasciare al detenuto la facoltà di accettare oppure no un determinato esame, come la ricerca di anticorpi anti-HIV è conforme alla legge, ma è comunque un errore poiché il carcere è una collettività e buona parte dei detenuti sono o sono stati eroinomani.
Il diario clinico del carcere è un modello di inadeguatezza formale e sostanziale, redatto spesso con grafie impossibili a leggersi e talora incomprensibile risulta il decorso clinico di una malattia in base alle annotazioni del diario stesso.
Sarebbe auspicabile l’informatizzazione del diario clinico.

LA RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE
Le questioni concernenti la responsabilità professionale del medico per colpa non possono non tener conto dell’ordinamento e della giurisprudenza al riguardo. Sarebbe tuttavia un errore considerare l’esercizio della professione del medico e dell’infermiere all’interno del carcere come un qualsiasi esercizio professionale a carattere sanitario. Molteplici sono infatti i fattori che interagiscono con l’attività sanitaria, ed in primo luogo le esigenze di natura custodialistica, che interferiscono spesso con le prestazioni mediche, tendendo a ritardarle. Il rapido succedersi del personale medico ostacola una visione unitaria dei problemi clinici, consentendo di perdere di vista le esigenze del malato, se di malato si tratta. Questo ci porta ad un altro aspetto della casistica, nel senso che può accadere che la malattia venga strumentalizzata, o simulata a fini processuali, così come può accadere che la malattia, per fini non sempre comprensibili, venga dissimulata, e talora anche pretestata o addebitata a maltrattamenti subiti in carcere. Per queste ragioni, ogni volta che si debba esaminare un caso di responsabilità medica attribuito a medici del carcere, è necessario tenere conto di tutti i fattori che possono entrare a configurarlo, compresi quelli che non sono di natura medica ma soltanto circostanziale.